martedì, gennaio 19, 2010

Libera Iniziativa ma Solidale

E' uno dei diritti della persona, uno dei diritti associati alla libertà: quello di fare delle scelte personali anche in campo economico. La libertà è di pensiero, di opinione, ma soprattutto di mostrare le proprie capacità.
La interpretazione comune, limita la libertà economica nel trovare occasioni di arricchirsi, indipendentemente dal modo, perché il risultato immediatamente visibile è testimoniato dallla ricchezza raggiunta. Sono gli indicatori di questo benessere che possiamo dimostrare agli altri e che ci danno la soddisfazione del potere raggiunto.
Ma sono proprio questi gli obiettivi degni di un essere umano?
La Libera Iniziativa può anche agire per intervenire nelle situazioni migliorandole, ricercare modi di aggregazione che valorizzino le persone, aver cura del bene comune, individuare situazioni di felicità, appoggiare chi è indifeso, insomma una scelta vastissima di opportunità di azione fatte non per il proprio egoismo ma per godere assieme agli altri delle gioie proprie e altrui.
La Libera Iniziativa Economica nella logica della competizione è l'esatto contrario della Libera Iniziativa  Solidale: dove questa cerca di condividere le risorse, quella se ne appropria, dove questa è attenta ai bisogni quella guarda solo il profitto, dove questa cerca di essere utile a molti, quella va a beneficio di pochi e a danno degli altri.
La Libera Iniziativa Solidale richiede di guardare oltre, per trovare soluzioni che non siano quelle che la logica del sistema suggerisce come più ovvie e possibili.
Molta strada si deve ancora percorrere, ma se guardiamo attorno ci sono già i semi che indicano che l'obiettivo ha senso, che può esistere anche in un contesto avverso. Non è il momento di scoraggiarsi e pensare che non esiste alternativa: l'alternativa siamo noi quando decidiamo che non possiamo più accettare che il nostro lavoro sia trattato come merce da usare e gettare come fa comodo: adesso abbiamo assolto ai nostri doveri sta arrivando il tempo in cui possiamo rivendicare il nostro diritto di vivere in modo completo. Le Libere Iniziative di ognuno di noi collegate assieme possono trovare come.

domenica, gennaio 17, 2010

Ristabilire il primato del bene comune

Il potere dell'economia dirige ogni cosa: se gli stati ne sono trascinati, a maggior ragione anche i singoli vengono travolti, siano persone siano famiglie, siano imprese. Ciascuna di queste entità è impegnata singolarmente a difendersi dall'attacco delle forze del mercato che si pongono in competizione. La prima risposta dovrebbe essere una coalizione tra le forze, un patto di collaborazione che taglia alla radice la logica di concorrenza. In principio la concorrenza dovrebbe derivare dalla competizione per prendere possesso delle risorse che sono scarse; ma in un mondo di sovraproduzione le risorse non lo sono, lo diventano per la rapacità di che vuole accaparrasele senza distribuirle.
I passi per creare questa associazione collaborativa non sono semplici, e non possono nascere dal solo volontarismo di pochi, si deve riuscire a dimostrare che questo metodo è più efficiente, dà risultati migliori perché tiene conto veramente di tutti i fattori e non solo del guadagno immediato. Bisogna partire dai territori, identificandone i valori che rappresentano e come possono essere potenziati: si potrebbero creare dei distretti basati sulla solidarietà che misurino il valore globale delle proprie risorse.
Ogni volta che in nome del principio di efficienza si rinuncia a considerare il beneficio globale di un territorio, invece di quello immediato dei singoli si introducono distorsioni e in ultima analisi si danneggia il tessuto sociale della comunità.
Per meglio chiarire questo fatto voglio considerare un caso reale: una valle alpina ha una ampia zona a bosco che anche se piuttosto impervia ha fornito in passato legname alle segherie di fondo valle. La proprietà del bosco non è comunale per cui ogni proprietario decide autonomamente.
Negli ultimi anni il bosco non è più stato sfruttato perché i proprietari hanno ritenuto non conveniente il prezzo pagato dalle segherie, le quali hanno acquistato legname svizzero, meno costoso. Nel frattempo i proprietari hanno investito nella edilizia di stazioni turistiche vicine, con ricavi immediati dalla vendita degli immobili.
La situazione è quindi quella di parte del territorio ( il bosco )trascurata e parte degradata dalla speculazione edilizia.
Il bosco in mancanza di manutenzione non regge agli eventi atmosferici e gli alberi caduti per eventi naturali finiscono nel corso dei torrenti parzialmente ostruendoli e preparando possibili eventi idrogeologici, in caso di forti piogge.
Mi pare chiaro da questo esempio, che le scelte economiche dei singoli non siano in grado di definire le soluzioni migliori, ovvero quelle più efficienti a lungo termine e per tutti.
Per natura le scelte di molti, per il bene comune, sarebbero politiche: nel caso visto la politica è stata formata dagli stessi speculatori, di corta visione che non potevano concepire nulla oltre i guadagno immediato.
Nell'esempio fatto si doveva fare una gestione comune del bosco, con una distribuzione dei ricavi tra i proprietari che avesse come obiettivo anche la pulizia degli alvei, la protezione nelle zone franose, la costruzione di immobili di qualità in un piano di edificazione non intensivo e di qualità. Anche chi non era in grado di partecipare economicamente al business delle costruzioni avrebbe potuto operare in un turismo continuativo, che le seconde case non offrono.

giovedì, gennaio 14, 2010

Il futuro rinasce dal basso

A cosa dovrebbero servire sia i politici che gli economisti, se non ad indicare le possibili soluzioni ai problemi: mi aspetto che propongano soluzioni che si possano adottare. Ma la situazione attuale mostra con tutta evidenza che dietro alle parole di rito non esiste alcuna consapevolezza né dei problemi né delle soluzioni. Appare evidente che sono inadeguati al compito per cui sono stati o si sono proposti: la gestione dell'esistente ha bisogno di poca innovazione e di molti controlli.
Ci si aspetterebbe che gli esperti sappiano indicare a tutti cosa andrebbe fatto, ma in realtà la classe dirigente non è in grado di concepire nulla che non rientri nei confini della economia globalizzata e del libero mercato con il consumo sfrenato di risorse e la crescita economica ad ogni costo.
Così si stanno accumulando una dopo l'altra, crisi di ogni tipo: da quella finanziaria a quella ecologica, dalla fame delle popolazioni alle migrazioni selvagge, dalla insicurezza del futuro alla perdita della solidarietà.
Anche se di tipo diverso, queste crisi hanno un collegamento reciproco: sono l'indicatore che il sistema non è più in grado di autoregolarsi, come vorrebbero le teorie economiche liberistiche. Anche di fronte a questi problemi non si trovano né idee né soluzioni, e quando si propongono dei compromessi al ribasso non si riesce a trovare l'accordo delle diverse entità nazionali.
Chi spera quindi che gli organismi internazionali possano fare qualcosa è destinato a disilludersi, come si può vedere dall'esito fallimentare delle grandi riunioni: FAO, G8, clima...
Bisogna che le soluzioni escano dalle persone, da chi vive realmente i problemi, da chi comincia a capire che questo sistema mondiale si alimenta della situazione esistente la sfrutta e tende a conservarla.
La soluzione non arriva dai singoli, ma dall'unione delle forze, delle speranze e delle idee di chi ha problemi simili e decide di percorrere strade diverse, di non credere al pensiero unico delle masse ma di battere piste nuove.

lunedì, gennaio 11, 2010

I dogmi della politica

La politica è lotta, il confronto politico ha come fine la vittoria sull'avversario, per la conquista del potere.
La democrazia è rappresentanza degli interessi di una parte.
Le qualità che contano nel politico sono quelle che servono a vincere le elezioni: in base ai sondaggi si conosce come la pensano gli elettori, si attiva una persuasione mediatica in modo da convincere gli indecisi e il risultato è garantito.
La verità è quella che ciascuna parte può confezionare per screditare l'altra.

Io vorrei una politica che indichi degli obiettivi per il bene di tutto il paese, nella quale i politici siano dotati delle capacità richieste per governare, che sappia estendere la democrazia facendo partecipare i cittadini alle decisioni, che anteponga il bene comune ai propri interessi, che sappia riconoscere i propri errori, che faciliti il dialogo e la collaborazione sociale.

Sono ingenuità da illuso sognatore, che la persona pratica deve scartare come irrealizzabili utopie o si può trovare una strada perché ci sia una politica nuova?

venerdì, gennaio 08, 2010

I dogmi dell'economia globale

L'essenza della vita umana è nella lotta per la sopravvivenza e la prevalenza del migliore.
L'essere umano è un individuo che mira al proprio interesse senza relazioni con gli altri esseri umani.
Il mercato ha sempre ragione, tende automaticamente a premiare il merito.
Il denaro è il metro per giudicare la bontà dei risultati.
Il mercato trova sempre risorse e le valorizza in funzione della domanda e della scarsità, anche se il pianeta in cui viviamo ha risorse limitate, la crescita deve essere costante.
Anche se pochi sono i privilegiati e tanti i miseri esiste sempre la possibilità per questi ultimi di riscattarsi.
L'economia di mercato può produrre sprechi, ma nel lungo periodo questi saranno corretti dalle realtà più efficienti.
I bisogni fondamentali dell'uomo sono fatti personali che sono raggiunti quando sono soddisfatti i bisogni economici.

Non si possono negare i benefici economici che sono stati portati dal sistema economico moderno, ma si vede sempre e solo la faccia splendente e non i danni e i dolori che stanno dietro.
Non è il caso di domandarsi se non esiste un modo più umano di concepire i rapporti tra gli uomini?

giovedì, gennaio 07, 2010

Il giogo dell'economia

L'economia è la forza trainante di tutte le società. Si tratta di una forza positiva che dovrebbe consentire un armonico utilizzo delle risorse disponibili in modo da utilizzarle per il bene comune, in modo da non escludere nessun essere umano.
Invece si è messa il mantello del mercato capitalistico, che dietro la definizione di leggi "economiche" attua la dominazione di alcuni sugli altri. Il fine dell'uomo è più elevato che la mera sopravvivenza in quanto tende a superare la condizione materiale per trovare soluzioni all'esistenza del male e della morte.
Se ogni cosa è finalizzata all'economia si nega ogni possibilità di raggiungere una vita vera e felice.
La attuale economia di mercato si regge sul consumo che genera produzione che a sua volta richiede nuovi consumi, in un crescente anello di creazione-distruzione che dissangua le risorse naturali della terra ancor prima dei suoi abitanti.
I progressi nella trasformazione dei beni vanno a beneficio del capitale e non dell'uomo: se il consumatore può disporre di merci a prezzi inferiori è comunque costretto a sostituirle con maggiore frequenza in quanto rese obsolete da nuovi modelli.
Per gli uomini che sono inseriti in questo meccanismo diventa necessario adeguarsi per sopravvivere mettendosi in competizione con gli altri: una lotta dei più bravi e dotati contro gli altri. La salvezza avviene senza o contro gli altri attuando una selezione darwiniana contraria alla convivenza.
Il meccanismo della selezione non è imposto con la forza ma con la persuasione che non esistono altre possibilità, dalla speranza di poter partecipare ai benefici che sono promessi a tutti, anche se garantiti a pochi, dal senso di impotenza a operare contro un metodo diffuso in tutti i continenti.
La politica che in passato ha tentato di dare una risposta diversa al mercato capitalistico ha miseramente fallito trascinando con se tutte le speranze e lasciando libero il campo per la espansione universale del metodo.
Queste e altre cause impediscono che le moltitudini prendano coscienza che ogni vita ha un senso oltre al mercato e ci può essere un futuro diverso basta che si riesca ad immaginarlo e si abbia il coraggio di volerlo.

lunedì, gennaio 04, 2010

Cominciamo il 2010

Terminato il rito degli auguri, cominciamo a domandarci su che base si poggia la nostra immutabile speranza di un anno migliore.
Le riflessioni che seguono sono basate su un punto di vista all'interno dell'Europa e in particolare dell'Italia, cioè in stati il cui peso economico è scarso e che sono sottoposti ai venti provenienti dai nuovi potentati.
Possiamo sperare che i governi indichino una prospettiva di miglioramento, un sogno da raggiungere? I problemi concreti delle persone non sono considerati dalle forze politiche. Il continuo dibattito tra le forze politiche è sempre su altri argomenti, su decisioni "politiche" che non sono mai di fondo.
Le scelte trainanti sono fatte dal sistema economico che è diventato mondiale. Una volta la società coincideva con la nazione e con i suoi confini. Oggi tutte le società nazionali non hanno più significato autonomo, ma sono interdipendenti e guidate dal mercato globalizzato. Ogni decisione presa localmente deriva da un precedente movimento o richiesta del mercato. Di fronte a questa situazione ogni stato si arrende e deve giustificare la propria impotenza con la giustificazione che non si può fare altrimenti.
Non è più possibile per nessuna forza politica avere una visione del futuro, un disegno di come la società muterà e quali risorse  mettere in atto per attuarlo.
Unica persona che è riuscita un anno fa a suscitare speranze mostrando una prospettiva futura, il presidente Obama, deve fare i conti con i problemi che gli piovono addosso come gli attacchi del terrorismo, le resistenze delle lobby e come si è detto la crisi economica.
La vecchia democrazia socialdemocratica poteva fungere da mediatore tra i lavoratori e il capitale, assicurando che almeno parte delle conquiste in produttività si traducessero in miglioramento dei salari.
La globalizzazione ha rotto questo meccanismo in quanto i miglioramenti nella produttività si ottengono con la delocalizzazione e con l'uso delle risorse produttive dei paesi a basso costo. Quindi non esiste più spazio per trattative politiche sindacali in cui ci sia qualcosa da cedere o da guadagnare: non esiste più trattativa alla decisione di chiudere le produzioni. Per conseguenza il livello medio dei salari non ha tenuto il passo con i prezzi generando un impoverimento della classe lavoratrice.
Come mai questo impoverimento non dà luogo a tensioni sociali, scontri di piazza, scioperi a oltranza? Per i motivi sopra esposti non c'è nulla da guadagnare quando l'alternativa è la chiusura della impresa con il suo trasferimento e il licenziamento degli addetti.
L'economia di mercato pretende che le risorse siano usate con la massima efficienza e quindi se una produzione ha un costo minore altrove è uno spreco mantenerla ad oltranza in passivo.
Ma il bilancio che tiene conto solo dei costi e dei ricavi dell'impresa e non quelli generali della società è parziale, in quanto non considera lo spreco delle capacità e delle competenze che sono gettate con la chiusura. Se esistesse un mercato in grado di riutilizzarle opportunamente la società potrebbe conteggiarli negli utili, diversamente si devono mettere a perdita.
Questa è la visione deprimente della situazione attuale, nei prossimi post condividerò alcune idee di speranza e di cosa si può fare.
Una cosa per me è assolutamente chiara che la situazione non può essere accettata passivamente, ma cosa si può fare?
I vostri commenti osservazioni e suggerimenti sono ben graditi.